I lubrorefrigeranti sono l’alleato silenzioso di ogni officina: riducono l’attrito, raffreddano il processo, migliorano la finitura dei pezzi lavorati, prevengono la corrosione dei metalli. Se vengono gestiti male, però, diventano un problema serio: le nebbie d’olio, vapori e contatti ripetuti con i fluidi aprono la strada a dermatiti, acne, asma, irritazioni delle vie respiratorie e possibili malattie professionali.

Con scelte impiantistiche e gestionali corrette, questi rischi si riducono in fretta.

Lubrorefrigerante 2

L’esposizione ai lubrorefrigeranti nasce soprattutto da due dinamiche: il contatto cutaneo e l’inalazione di aerosol. 

Il primo è spesso sottovalutato: il contatto è dovuto a pezzi bagnati, utensili sporchi, abiti contaminati.

Il secondo è l’effetto combinato dovuto alla velocità dell’utensile e agli spruzzi: si generano nebbie che finiscono nei polmoni, su sensoristica, quadri, superfici.

 

La strategia vincente ha quattro mosse, semplici e molto efficaci:

  1. Scegliere bene il fluido refrigerante
    Preferire formulazioni ad alta qualità di raffinazione e additivi compatibili con i propri processi. Limitare le sostanze che generano aerosol persistenti, verifica le schede di sicurezza con rigore.
  2. Progettare l’aspirazione alla fonte
    La captazione localizzata è la parte principale: usare cappe avvolgenti quando possibile, con prese posizionate in maniera precisa e schermature che riducono le aperture.

 

3. Gestire il “bagno” in maniera corretta
Concentrazione e pH sotto controllo, reintegri misurati, trattamento della carica batterica prima che esploda. Meno degrado del fluido significa meno emissioni, meno odori e meno problemi per la pelle.

4. Organizzazione e DPI
Formazione mirata per gli operatori, procedure di manutenzione. I DPI servono, ma non devono diventare l’unica risposta.

In sintesi, sicurezza e produttività non sono in conflitto: nascono dalla stessa progettazione adeguata.

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